Dove inizia il sentiero della Sdricca? Chi volesse arrivarci a piedi potrebbe prendere come punto di riferimento la centrale piazza Chiodi; da lì deve imboccare via Francesco di Manzano, all’inizio della quale può osservare la Madonute, seguire l’alveo di una stradina che si insinua tra il piccolo ed interessante parco Fornasarig e la muraglia merlata che circonda il castello nuovo. Alla fine della muraglia si deve salire a sinistra verso il vecchio castello distrutto definitivamente nel 1431. Il breve tratto di strada asfaltata consteggia un piccolo vigneto mentre sulla sinistra una serie di cipressi (cupressus arizonica) delimita il parco dei conti di Manzano.
Il sentiero naturalistico (primo tratto)
Si sale lungo il sentiero che s’immerge nella folta vegetazione costituita dal sambuco e della robinia. Il sottobosco è ricchissimo d’edera e di gigaro. La robinia, presente lungo tutto il sentiero, una specie molto invadente; è stata importata in Europa dall’America ed in meno di tre secoli ha in buona parte alterato la vegetazione naturale della pianura e delle colline diventando spesso la specie dominante.
I ruderi del castello campeggiano su un poggio all’inizio del sentiero, sono testimoni di un passato ricco di storia e d’uso del territorio completamente diverso rispetto all’attuale. Dopo aver aggirato i ruderi del vecchio maniero, il sentiero s’insinua dentro il bosco, costeggiando le ultime case. Il sottobosco è ricco di pungitopo e d’edera, diffusa sia sul terreno che su quasi tutti gli alberi.
Il questo tratto di sentiero il più vicino alle abitazioni, s’incontra un’altra specie straniera: il sommaco maggiore. È una pianta proveniente dall’America settentrionale utilizzata largamente come albero ornamentale. Si prosegue lungo un’altra schiera di cipressi, non originari di queste zone, probabilmente introdotti dagli Etruschi o dai Romani più di 2000 anni fa. I cipressi diventano più numerosi in prossimità del sacello che, un tempo, custodiva le spoglie del conte Leonardo. In questo tratto del sentiero uno smottamento del terreno h compromesso una parte dell’integrità del sentiero e a breve con l’aiuto dell’amministrazione comunale, la sezione provvederà a modificare il percorso rendendolo più agevole. Tra le robinie, lungo il sentiero, si cominciano a distinguere alcune specie caratteristiche dei boschi collinari: il tiglio, l’orniello, l’acero campestre. Proseguendo un folto gruppo d’ailanti anticipa la vista della colonna. Questa è posta nel mezzo di una piccola radura occupata da alte e frondose felci e circondata da un boschetto di querce, carpini neri e bianchi, alinati e robinie.
Dalla colonna si scende abbastanza rapidamente, aiutati da una serie di scalini in legno, verso nord e dopo i gradoni è possibili distinguere alcuni esemplari di castagno. Numerosi noccioli, robinie e sambuchi occupano un ampio pianoro poco distante. Giunti all’incrocio con la carrareccia s’imbocca il sentiero in salita che all’inizio della primavera vede fiorire pervinche e primule. Dopo aver superato alcune querce si scendono i gradoni in legno e terra battuta tra robinie, sambuchi e pungitopo. Nel bosco, oltre ad alberi ed arbusti, trovano spazio alcune piante lianose come la vitalba e il tamaro che si arrampicano sui fusti.
Superata una nuova serie di gradoni, si percorre un tratto di sentiero piuttosto ondulato, lungo il quale s’incontrano alcuni gelsi, pinte di acero campestre, castagni, farnie e noci che movimentano il monotono robinieto. Il sentiero poi si allarga creando una radura ed il bosco lascia gradualmente spazio alla prateria. Oltre la radura, il sentiero ripercorre per qualche tratto la vecchia carrareccia, usata un tempo dai boscaioli per portare a valle i tronchi abbattuti. Da questa posiziona si può osservare la Sdricca di sotto, una casaforte cinquecentesca, un tempo dimora signorile. All’altezza della Sdricca di sopra, una piccola radura ospita diversi arbusti, tra cui un melo selvatico.
Quando il sentiero risale, attraverso un paio di tornanti, tre farnie dalle grandi chiome, avvolte dall’edera dominano il paesaggio.
Dentro il bosco si possono intravedere querce accanto ad un piccolo gruppo di pioppi tremuli, così chiamati per caratteristico tremolio delle foglie. Più avanti un ponticello di legno scavalca un piccolo rio senz’acqua per la maggior parte dell’anno. Proseguendo con circospezione ed in silenzio con un po’ di fortuna si potranno spiare i caprioli che attraversano il sentiero per abbeverarsi nell’alveo del Natisone.
Nel tratto a ridosso della zona coltivata numerosi aceri campestri, noccioli ed ornielli conducono al ponticello di legno che attraversa un serpeggiante torrentello piuttosto profondo. Nella parte del bosco che guarda il fiume, crescono rigogliose alcune specie tipiche degli ambienti ricchi d’acqua, come i salici e gli ontani neri. Si susseguono alcuni ponticelli in legno che permettono l’attraversamento di alcuni torrenti che scendono dalla collina. Quando il sentiero ridiscende s’incontrano numerosi ciliegi selvatici che portano all’ingresso del bosco: questa parte di cammino si presenta piuttosto movimentata; le alte matricine di farnia e di robinia conducono ad una piccola radura bordata da alcune piante di castagno.
Dal bosco della Sdricca al rio Manganizza (secondo tratto)
Il secondo tratto del sentiero può essere considerato come un percorso autonomo o come la continuazione del percorso precedente. Terminato il primo tratto del sentiero si esce dal bosco salendo verso la strada che collega Manzano ad Orsaria Svoltando a sinistra si percorre un tratto della strada in direzione Manzano. Subito dopo “la casa del croato”, oggi azienda Valori, troverete a destra la tabella che indica l’ingresso nel secondo tratto. Si scende tra le vigne e addentrandosi nel bosco, si attraversa una radura di felci dove, a primavera inoltrata, è possibile osservare una colonia di Emerocallidi, pianta di origine glaciale, dall’incantevole fioritura giallo-oro; da qui si scende verso la Manganizza (o Manzanizza), il corso d’acqua che scende da queste colline. A primavera il sottobosco è fiorito di primule, anemoni e pervinche.Le essenze presenti in questa parte del bosco sono essenzialmente il rovere (quercus petrea) presente in quantità notevole, l’acero, l’acacia,l’olmo, il carpinoe il castagno.
Il ponte che permetteva l’attraversamento della Manzanizza è stato rimosso dai nostri volontari perché non sicuro. E’ prevista la realizzazione di un nuovo ponte nel progetto in fase di studio assieme all’amministrazione comunale. Si attraversa comunque senza grosse difficoltà il torrente in un tratto di bosco giovane dove la robinia ha preso il sopravvento. Usciti dal bosco ci si trova in un ambiente naturale del tutto diverso, una radura delimitata da salicone, sanguinella, acero, salice rosso, tutte piante tipiche di questi ambienti. La peculiarità di questa zona è la presenza di una pozza risorgiva: la presenza di acqua permette lo sviluppo di un grande quantità di piante, e dà rifugio a numerose specie animali.
Lasciandosi alle spalle la radura, si sale verso i prati, percorrendo una carrareccia a fondo naturale, e alla fine della salita, lasciando la strada che punta verso villa Otellio, il sentiero piega a gomito e costeggiando il bosco si scende rapidamente in un ambiente scuro e umido, quasi palustre, come testimoniato dall’abbondante presenza di equiseto; i grandi roveri coperti di licheni sono la prova della buona qualità dell’aria. Il terreno è umido e profondo, il bosco a prevalenza di castagni e pioppi è fitto e la luce stenta ad entrare .Uscendo dal bosco iniziano le coltivazioni di viti, e si può notare la presenza di piante un tempo usate a scopi domestici, come il gelso, il noce e il ciliegio. In questo tratto di sentiero che collega il bosco ai vigneti, si può notare sulla destra l’incantevole panorama di vigne con sullo sfondo lo splendido palazzo Ottelio. Riguadagnata con breve salita una strada interpoderale, dalla collina si scende nuovamente tra le viti e in breve ci si ritrova in via Sottomonte, la strada che collega Manzano a Buttrio, a questo punto è possibile dirigersi verso il paese (a sinistra), oppure riprendere il cammino ripercorrendo la strada appena fatta.
Il Castello di Manzano
A testimoniare l’esistenza di questa castello non rimane che una grossa muraglia, dove si possono ancora vedere dei larghi fori che forse erano finestre.
Non si conoscono le origini del castello e nemmeno gli storici più qualificati sanno dare notizie in merito, ma fu uno dei castelli che non passò inosservato nelle vicende storiche avvenute nei secoli della sua esistenza. Nelle guerre tra i Patriarchi di Aquileia e i conti di Gorizia fu preso e ripreso diverse volte e sostenne anche le lotte fra i castellani e le comunità, subendo gravi danni.
Nel 1256, dopo un incendio, venne restaurato dai suoi proprietari i Conti di Manzano con l’aiuto del Patriarca. Tra 1256 e il 1386 il castello fu oggetto di conquiste, razzie e divisioni fino quando passò sotto la giurisdizione di Cividale, ma Varnerio di Manzano non permetteva alle genti del Patriarca e di Cividale di entrare nel castello.
Pantaleone e Giovanni di Manzano, nel 1431, accolsero nel castello le genti del Patriarca Lodovico di Teck, dopo che lo stesso aveva sconfitto il Patriarca, furono catturarti e condannati a morte con la confisca dei beni. Cividale intervenne in loro favore ed ottenne la grazia per i condannati: questi riebbero i loro beni ad eccezione del castello di Manzano che il 30 ottobre 1431, per ordine della Repubblica Veneta, venne abbattuto lasciando in piedi quei pochi ruderi che ancora si vedono.
Sul castello di Manzano sono fiorite numerose leggende. Una delle tante racconta che nella galleria scavata all’interno, per consentire ai signori di scappare in caso di assedio, vi si trovi un tesoro costituito da una carrozza ricoperta d’oro piena di oggetti di valore.
La Colonna di Aimée
Stele fatta erigere dal conte Leonardo di Manzano a ricordo dell’adorata moglie austriaca Francesca Normand, chiamata familiarmente “Aimée”, sul luogo dove si recava ad assaporare la brezza che spirava dal luogo natìo. Sulla colonna si nota l’scrizione: “Aimée come questa colonna posta sul luogo tuo prediletto così sarà durevole il tuo ricordo e mio affetto Leonardo M.”
Il Palazzo Ottelio
Costruzione risalente al secolo XVII, edificata dai Signori De Marchi, nobile famiglia udinese, poi passata ai conti Ottelio. Attualmente è di proprietà dell’ing. Gian Guido de Carvalho. Il palazzo si trova sopra un poggio al confine tra i Comuni di Manzano, Buttrio e Premariacco. È caratterizzato da un tetto molto sporgente e da una scala di pietra, con un’artistica ringhiera: nell’ampio cortile si trova un bellissimo pozzo con un altissimo ornamento in ferro battuto. Il cortile da un lato è chiuso da una torre, probabilmente resto di una precedente costruzione. Un bel cancello in ferro battuto immette nel complesso. Adiacente all’ingresso, la seicentesca chiesa dedicata a San Gaetano.
La Casaforte Sdricca
La casaforte Sdricca, dall’apparente struttura di casa colonica, dopo la distruzione del castello di Manzano ha esercitato, quale fortilizio, una funzione difensiva per il controllo militare ed economico sul territorio. Successivamente, con l’avvento della repubblica di Venezia, divenne una villa-azienda agricola della famiglia dei Conti di Manzano. Il sito era già abitato dall’età del bronzo, come testimoniano i reperti rinvenuti ai piedi del colle. La forma quadrangolare di metri 28×32 racchiude un cortile quadrato di metri 21 di lato. La prima notizia documentata del complesso risale al 1170 in un atto di donazione della chiesa di Aquileia. Certamente per la costruzione venne utilizzato il materiale prelevato dal fiume e dalle cave marnose presenti in loco. Tutto il complesso ha subito recentemente delle modifiche per adattarlo alle esigenze dell’azienda agricola.
Sdricca di Sopra
L’edificio più vecchio lo si può annoverare come costruito nel secolo XVI (F. Beltrame: “Sdricca di Manzano”, System One Service sas Editore Manzano, 1993) e si presume che non abbia subito le vicende storiche del castelliere. Nel periodo bellico del primo conflitto mondiale fu teatro delle esercitazioni del corpo degli arditi qui costituitosi il 29 luglio 1917, come ricorda la lapide incastonata. Il complesso è stato costruito in muro di pietra e sassi, raccolti nel vicino Natisone; è costituito da due edifici abitativi indipendenti, strutturati su due piani.
L’abbazia di Rosazzo
L’Abbazia di Rosazzo domina, dall’alto del colle su cui è costruita, un largo tratto del Friuli orientale, tra i fiumi Natisone e Judrio.
L’Abbazia prende il nome dalle rose selvatiche caratteristiche della zona e qui abbondanti; infatti a partire dal 1161 fu chiamata Monasterium Rosarum.
Il complesso degli edifici si incentra attorno alla Chiesa di S. Pietro e conserva tutt’oggi un’atmosfera medioevale.
Dell’antico originario complesso rimane ben poco: un edificio rustico adiacente all’attuale ingresso, il torrione alto sei piani e collocato ad ovest e parte del tracciato della cinta abbassata e distrutta nell’Ottocento, quando il complesso fu trasformato in residenza estiva degli arcivescovi.
La leggenda narra che l’Abbazia venne fondata nel IX secolo da un eremita alemanno che qui costruì un piccolo oratorio e una cella per vivere in pace e preghiera. Essa venne ufficialmente fondata nel 1085 dal patriarca Enrico, ma le prime notizie risalgono al 1091 quando il conte Ulderico di Eppestein la trasformò in un monastero benedettino.
Nel corso degli anni l’Abbazia divenne ricca e potente grazie alle donazioni dei Patriarchi, dei Conti di Gorizia e dei Duchi di Corinzia e raggiunse il suo massimo splendore nel XIII secolo, quando Papa Innocenzo IV la rese indipendente ponendola sotto la diretta protezione della Santa Sede.
Fu danneggiata da incendi nel 1323 e nel 1344, ma venne prontamente ricostruita ogni volta. Successivamente venne trasformata in fortezza, ma nel 1508 venne completamente distrutta e bruciata dalle truppe imperiali, francesi e papali. La sua ricostruzione avvenne per volontà di Papa Clemente VII che la trasformò in commenda, ma l’Abbazia perse definitivamente il suo antico potere. Dal 1751, anno disgregazione del patriarcato di Aquileia, venne amministrata prima dagli Arcivescovi di Udine e Gorizia e successivamente solo da quello di Udine che venne nominato Abate e Marchese di Rosazzo. Nel 1823 fu adattata a residenza estiva degli arcivescovi.
Oggi dopo numerosi restauri è tornata al suo antico splendore e la sua importanza come sito religioso si affianca a quella che detiene come luogo ideale per importanti convegni e mostre anche a carattere internazionale.
La ricostruzione dell’Abbazia si concluse nel 1533 ed in tale occasione venne affidato al pittore Francesco Torbido, seguace del Giorgione, il compito di affrescare il coro della chiesa. Nel 1535 egli si occupò anche delle vele, delle pareti e dell’arco trionfale realizzando diversi affreschi: i “Simboli degli Evangelisti”, la “Trasfigurazione”, la “Vocazione di S. Pietro”, “la Pesca miracolosa”, “Madonna con Bambino e Santi” dopo aver subito numerosi restauri sono ancora oggi visibili. Nell’ex refettorio, una Crocifissione a fresco viene attribuita al veronese Battista dell’Angelo, detto il Moro. L’altare maggiore è stato realizzato dagli scultori udinesi Mattiussi e risale al 1756.
Aspetti Faunistici
Numerosi sono i mammiferi che popolano i boschi che ricoprono le colline attorno a Manzano. Le specie più rilevanti, per l’impatto che hanno sull’ecosistema boschivo, sono il capriolo ed il cinghiale. Tra i mammiferi più interessanti per il naturalista si segnala la presenza del tasso che trova il suo ambiente ideale nelle forre e nei pendii boschivi, vicino anche a zone coltivate poco disturbate. Numerosa risulta pure la lepre grigia in ambienti aperti come prati stabili e vigneti, e la volpe frequente nelle zone più riparate, come in prossimità del Natisone. Molti sono i rapaci stanziali (presenti durante tutto l’arco dell’anno) che nidificano nei dintorni del bosco. Tra quelli diurni, la poiana e lo sparviere sono frequenti e facilmente distinguibili. Il barbagianni, la civetta e l’allocco, sono i rapaci notturni.
La presenza del picchio rosso maggiore e del picchio verde è favorita dai vecchi alberi di grandi dimensioni. Non è raro osservare uccelli migratori che sostano tra il sentiero ed il fiume, come l’airone cenerino o vedere il passaggio di stormi d’anatre.
Adiacenti ai boschi della Sdricca si trovano frequentemente la tortora dal collare orientale, lo storno e la gazza. Vicino alle abitazioni, s’incontra il merlo, il balestruccio, il rondone ed il piccione terraiolo. Nelle zone al margine del bosco, spesso si sente il canto della capinera e dell’usignolo.
Fra i rettili molto comune è l’orbettino assieme al saettone e alla biscia d’acqua. Frequentissima è la lucertola muraria. Tra gli anfibi, la salamandra, i tritoni e varie specie di rana, sono strettamente legati alla presenza dell’acqua e alle zone umide.
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